Scopro questo Salone della Parola e ve lo segnalo attraverso le parole del Curatore del Festival Marcello Di Bella.
“La filologia (dal greco φιλολογία [filologhìa], composto da φίλος [filos]"amante, amico" e λόγος [logos] "parola, discorso": "amore per lo studio delle parole"), secondo l'accezione comune attuale, è un insieme di discipline che studia i testi letterari al fine della ricostruzione della loro forma originaria attraverso l'analisi critica e comparativa delle fonti che li testimoniano, e con lo scopo di pervenire, mediante varie metodologie di indagine, ad una interpretazione che sia la più corretta possibile. In questo caso si tratta della cosiddetta critica del testo. Tuttavia il termine è attualmente utilizzato per indicare indagini anche relative ad altri ambiti, ad esempio alla musica e all'arte”.
Così si legge in Wikipedia, forse non la più attendibile, ma certo la più grande enciclopedia attualmente esistente al mondo, grazie a quella rete che ha scatenato una produzione lessicografica di proporzioni immani. Tuttavia, come è stato detto per la filosofia, cioè che chiunque, magari inconsapevolmente, si pone domande di tipo o gusto filosofico, così anche per la filologia, disciplina che si rappresenta come esercizio riservato a una élite ormai sparuta e un poco polverosa, può valere un analogo discorso: si può osservare che, tra l'altro sempre più di frequente, accade diffusamente di chiedersi, a proposito di un qualsivoglia testo, scritto o orale, da chi e che cosa sia stato scritto o detto veramente, che significato abbia, cioè come debba essere interpretato, che valore attribuirgli se è di tipo artistico, che rapporto abbia con il tempo e il luogo della sua produzione, cioè con il suo committente, etc.
Si tratta di domande di tipo filologico, che in prospettiva estendono la concezione di quella disciplina che nasce emblematicamente in una biblioteca, in quella di Alessandria, la più grande che il mondo antico abbia conosciuto, allorché si trattò di stabilire e mettere su carta (papiro) le diverse tradizioni di testi a cominciare da quelli riferiti a Omero.
Sicché oggi la costellazione delle arti e delle scienze riferibili alla filologia può essere senza particolari forzature alquanto estesa e abbracciare l'ermeneutica, la semiologia, la linguistica, la comunicazione, l'estetica, la storia senza contare l'enorme sostrato di ordine politico, culturale e ideologico che chiama in causa l'insieme delle scienze sociali compreso il diritto. Questa premessa è forse doverosa nel momento in cui si presenta al vasto pubblico una iniziativa che si occupa del linguaggio, o più propriamente della parola: un “salone”, un salon come quelle esposizioni parigine commentate da Baudelaire, o semplicemente, o più volgarmente, una fiera o un festival: non solo nel senso di un luogo in cui qualcosa si manifesta, ma anche spazio di incontro e scambio tra quanti pensano che non sia del tutto tramontata l'era della parola in favore dell'immagine e che quest'ultima non possa essere afferrata o percepita senza pensiero/parola.
La cosa viene da Pesaro, dalla sua biblioteca storica, l'Oliveriana, che è anche museo, anche archivio, la grande memoria della città e del suo territorio ma anche una importante finestra sul mondo che vanta, tra le altre, notevoli tradizioni filologiche per l'opera di studiosi di rilievo internazionale e per tutti di Scevola Mariotti che ne promosse la rinascita nel Secondo Dopoguerra.
Si diceva del vasto pubblico, di docenti, studenti e non solo: di cittadini che amano approfondire fuori dai circuiti dell'ovvio, magari cimentandosi con qualcosa che può sembrare difficile. Si può citare in proposito Marc Augé, il grande antropologo della contemporaneità, e un grande amico dell'Italia che dice, in una recente intervista dell'aprile 2010 sul tema della così detta cultura mainstream (il presunto pensiero unico globalizzato): “Tra la cultura alta e cultura di massa c'è sempre uno scambio sotterraneo, e molto spesso la seconda si nutre della ricchezza della prima […] l'Europa, che ha sempre seguito l'universalismo di fronte alla globalizzazione – che è somma di dati più che sintesi di valori – reagisce con esitazione, favorendo ripiegamenti localistici e identitari che certo non favoriscono l'emergenza di prodotti culturali capaci di diffondersi nel mondo”.
E non si può non citare un'altra intervista recentissima, rilasciata dal pesarese Ivano Dionigi, ora Rettore dell'Alma Mater e già consigliere dell'Oliveriana, che sarà ospite del festival: “Perchè oggi c'è una barbarie della parola […] parlare bene, come diceva Platone, oltre a essere una cosa bella in sé, fa bene all'anima”. Si tratta di considerazioni ben presenti a quanti si occupano di formazione delle giovani generazioni, a quanti pensano che la cultura, anche nelle forme più forti, incisive o elevate, costituisca per tutti una dimensione vitale. In proposito vale la pena di riportare un discorso tenuto da Josif Brodskij (premio Nobel 1987 per la letteratura) alla festa di laurea dell’Università di Ann Arbor del 1988: “Le cose che state per ascoltare prendetele semplicemente come soffiate. La prima “soffiata”. Adesso e nel tempo a venire, credo che per voi sarà un buon affare puntare alla precisione del linguaggio. Cercate di costruirvi un vocabolario e di trattarlo come trattereste il vostro conto corrente. Seguitelo con ogni cura e cercate di migliorarne i profili. Qui non si tratta di migliorare la vostra eloquenza amatoria o il vostro successo professionale, né di trasformarsi in raffinati conversatori da salotto. Lo scopo è un altro: mettervi in grado di esprimere voi stessi con la massima ampiezza e precisione. Perché l’accumularsi di cose non dette non espresse a dovere, può tradursi in nevrosi…L’espressione resta dietro all’esperienza e questo ora fa bene alla psiche…”
(dal “Corriere della sera” del 14/1/1989).
Precisione, profondità, concentrazione: caratteri dell’attenzione che si deve a ciò che ci piace pensare come fondamentale, a quesi testi che reclamano una comprensione critica, una filologia: “per una tale arte – scriveva Nietzsche nel 1886 – non è tanto facile sbrigare qualsiasi cosa perché essa ci insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente in profondità guardandosi avanti e dietro”. Viviamo in un tempo ossessionato dal nuovo e di guerra a oltranza alla durata, a ciò che magari ha superato la prova del tempo, a ciò che chiamiamo “classico”. Il quesito che timidamente poniamo è allora se non si possa ancora saper vedere Omero in Beautiful e magari Amleto nel Dr. House. Per vedere meglio, per vedere di più.
Così si legge in Wikipedia, forse non la più attendibile, ma certo la più grande enciclopedia attualmente esistente al mondo, grazie a quella rete che ha scatenato una produzione lessicografica di proporzioni immani. Tuttavia, come è stato detto per la filosofia, cioè che chiunque, magari inconsapevolmente, si pone domande di tipo o gusto filosofico, così anche per la filologia, disciplina che si rappresenta come esercizio riservato a una élite ormai sparuta e un poco polverosa, può valere un analogo discorso: si può osservare che, tra l'altro sempre più di frequente, accade diffusamente di chiedersi, a proposito di un qualsivoglia testo, scritto o orale, da chi e che cosa sia stato scritto o detto veramente, che significato abbia, cioè come debba essere interpretato, che valore attribuirgli se è di tipo artistico, che rapporto abbia con il tempo e il luogo della sua produzione, cioè con il suo committente, etc.
Si tratta di domande di tipo filologico, che in prospettiva estendono la concezione di quella disciplina che nasce emblematicamente in una biblioteca, in quella di Alessandria, la più grande che il mondo antico abbia conosciuto, allorché si trattò di stabilire e mettere su carta (papiro) le diverse tradizioni di testi a cominciare da quelli riferiti a Omero.
Sicché oggi la costellazione delle arti e delle scienze riferibili alla filologia può essere senza particolari forzature alquanto estesa e abbracciare l'ermeneutica, la semiologia, la linguistica, la comunicazione, l'estetica, la storia senza contare l'enorme sostrato di ordine politico, culturale e ideologico che chiama in causa l'insieme delle scienze sociali compreso il diritto. Questa premessa è forse doverosa nel momento in cui si presenta al vasto pubblico una iniziativa che si occupa del linguaggio, o più propriamente della parola: un “salone”, un salon come quelle esposizioni parigine commentate da Baudelaire, o semplicemente, o più volgarmente, una fiera o un festival: non solo nel senso di un luogo in cui qualcosa si manifesta, ma anche spazio di incontro e scambio tra quanti pensano che non sia del tutto tramontata l'era della parola in favore dell'immagine e che quest'ultima non possa essere afferrata o percepita senza pensiero/parola.
La cosa viene da Pesaro, dalla sua biblioteca storica, l'Oliveriana, che è anche museo, anche archivio, la grande memoria della città e del suo territorio ma anche una importante finestra sul mondo che vanta, tra le altre, notevoli tradizioni filologiche per l'opera di studiosi di rilievo internazionale e per tutti di Scevola Mariotti che ne promosse la rinascita nel Secondo Dopoguerra.
Si diceva del vasto pubblico, di docenti, studenti e non solo: di cittadini che amano approfondire fuori dai circuiti dell'ovvio, magari cimentandosi con qualcosa che può sembrare difficile. Si può citare in proposito Marc Augé, il grande antropologo della contemporaneità, e un grande amico dell'Italia che dice, in una recente intervista dell'aprile 2010 sul tema della così detta cultura mainstream (il presunto pensiero unico globalizzato): “Tra la cultura alta e cultura di massa c'è sempre uno scambio sotterraneo, e molto spesso la seconda si nutre della ricchezza della prima […] l'Europa, che ha sempre seguito l'universalismo di fronte alla globalizzazione – che è somma di dati più che sintesi di valori – reagisce con esitazione, favorendo ripiegamenti localistici e identitari che certo non favoriscono l'emergenza di prodotti culturali capaci di diffondersi nel mondo”.
E non si può non citare un'altra intervista recentissima, rilasciata dal pesarese Ivano Dionigi, ora Rettore dell'Alma Mater e già consigliere dell'Oliveriana, che sarà ospite del festival: “Perchè oggi c'è una barbarie della parola […] parlare bene, come diceva Platone, oltre a essere una cosa bella in sé, fa bene all'anima”. Si tratta di considerazioni ben presenti a quanti si occupano di formazione delle giovani generazioni, a quanti pensano che la cultura, anche nelle forme più forti, incisive o elevate, costituisca per tutti una dimensione vitale. In proposito vale la pena di riportare un discorso tenuto da Josif Brodskij (premio Nobel 1987 per la letteratura) alla festa di laurea dell’Università di Ann Arbor del 1988: “Le cose che state per ascoltare prendetele semplicemente come soffiate. La prima “soffiata”. Adesso e nel tempo a venire, credo che per voi sarà un buon affare puntare alla precisione del linguaggio. Cercate di costruirvi un vocabolario e di trattarlo come trattereste il vostro conto corrente. Seguitelo con ogni cura e cercate di migliorarne i profili. Qui non si tratta di migliorare la vostra eloquenza amatoria o il vostro successo professionale, né di trasformarsi in raffinati conversatori da salotto. Lo scopo è un altro: mettervi in grado di esprimere voi stessi con la massima ampiezza e precisione. Perché l’accumularsi di cose non dette non espresse a dovere, può tradursi in nevrosi…L’espressione resta dietro all’esperienza e questo ora fa bene alla psiche…”
(dal “Corriere della sera” del 14/1/1989).
Precisione, profondità, concentrazione: caratteri dell’attenzione che si deve a ciò che ci piace pensare come fondamentale, a quesi testi che reclamano una comprensione critica, una filologia: “per una tale arte – scriveva Nietzsche nel 1886 – non è tanto facile sbrigare qualsiasi cosa perché essa ci insegna a leggere bene, cioè a leggere lentamente in profondità guardandosi avanti e dietro”. Viviamo in un tempo ossessionato dal nuovo e di guerra a oltranza alla durata, a ciò che magari ha superato la prova del tempo, a ciò che chiamiamo “classico”. Il quesito che timidamente poniamo è allora se non si possa ancora saper vedere Omero in Beautiful e magari Amleto nel Dr. House. Per vedere meglio, per vedere di più.
Il curatore
Marcello Di Bella
Marcello Di Bella
2 commenti:
bella segnalazione, grazie !
ti hanno invitato ?
;-))
no Antonio ma sto in parola!!
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