giovedì 19 luglio 2012

AL CONSENSO INANE

 



Lungo questo meriggio afoso.
Dalla “loggia” si lotta per la logomachia,
altri sudano, eppure qualcuno sbadiglia.
Non si accorgono di nulla,
nessun battito di ciglia
la logorrea li distrugge
figurarsi la fatuità del dogmatismo.

Nessuno dichiara responsabilità
e nessuno pretende d’altronde
la diaria che gli spetta,
ma tutti ridono al mormorio del “salotto”
muffito e incartapecorito,
chi col camauro, chi col turbante,
chi col chepì, chi addirittura col cilindro,
oppure col basco o con la cloche l’ultima velina
scoperta dal morigerato produttore in inazione.

La stabulazione del gruppo
avviene repentina come una Via Crucis.
Certo... il barbogio basisce
per l’inutile impegno letterario,
ma la sua apoteosi è già bella che fatta,
mentre sedizioso, ricambia
con pochi colpi il mossiere
che scopre il celato velo
dell’equipe dell’editore in dissezione.




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sabato 7 luglio 2012

MOTO CIRCOLARE

Albane Simon

Sapeva che doveva fare tutto da solo. Sapeva che il suo patrigno era sempre vigile e non abbassava mai la guardia. Sapeva che i vicini lo avrebbero ammazzato se solo si fosse azzardato ad avvicinarsi al loro recinto per chiedere aiuto. Sapeva che per attuare il suo piano la sorpresa era la migliore alleata, sapeva.




MOTO CIRCOLARE
di
Franco Chirico


    Distrusse la moto dopo un’accelerata di soli quindici metri. Non ne aveva cavalcata mai una. Come avesse fatto a metterla in moto, ad ingranare la marcia e partire a razzo sganciandola dal cavalletto solo Dio lo sa. O meglio, deve essere stato il diavolo in persona a suggerirglielo. Gli ha fatto infilare il casco e stringere la cinghietta al mento, l’ha fatto salire passando prima sopra la cassetta degli attrezzi e, infine, ci ha messo le mani attivando direttamente la manopola destra bloccandola fino all’urto contro la siepe che, spaccona, lo aspettava impassibile come una staccionata da ippodromo.
    La moto in quel pochissimo tratto di strada s’era impennata simile a un puledro imbizzarrito, poi aveva abbassato le pretese alla docilità del padroncino e, ritoccata terra con la ruota anteriore, s’era abbrivata addosso alla siepe tagliata altezza torace di un muretto di bosso.
Una volta colpiti i fitti arbusti mimetizzati dalle verdi foglioline, s’era ribaltata scavalcando la siepe per poi ricadere, sulle ruote ancora accelerate, dentro il giardino dell’unico vicino che non doveva andare a visitare. Lui invece, misero centauro pivellino disarcionato, era stato catapultato in aria frenando la corsa sui rami alti dell’eucalipto e ripiombato giù sulla florida siepe, a capofitto, per via del casco, ruzzolando al di là della strada svariate volte, sul soffice manto erboso verde invidia fresco annaffiato.
    La moto appena riatterrata sul prato era schizzata via fino a fermare la traiettoria falciaerba, proprio sul vanto di Rebecca: il nuovissimo ibrido di rosa tigrata, innestato sui ceppi perenni ormai decidui, sbocciolandone i preziosi petali in mille pezzi. Infine, spentasi, aveva finito la corsa restando stranamente su, appoggiandosi docile sul fianco del serbatoio addosso alle foglioline dei robusti rovi.
    Il padre, già allertato dall’iniziale urlo del motore, si era alzato inferocito dal divano eruttando dal groppo la birra appena tracannata e, dopo aver percepito le ruote che giravano a vuoto, per poi sentirle sincopare di netto, s’era precipitato fuori prefigurandosi davanti agli occhi la sciagurata scena immaginata. Dirigendosi nel garage aveva cercato dappertutto quel figliastro scavezzacollo per ammazzarlo di botte ma, ancora più incazzato di prima, aveva scoperto che non c’erano né lui né il casco in superfibra di carbonio appena acquistato.
    La terra che continua a vorticare, vista dagli occhi occlusi da una visiera brunita abbassata, sa di fine del mondo anticipata, sa di fatale allineamento dei pianeti, sa di appuntamento con l’oscuro destino, sa di prossime bastonate del padre, sa di schioppettata del vicino, sa di rottweiler slegato che gli azzannerà nuovamente un polpaccio, sa di vicina che ne farà spezzatino. Sa che se non si alza immediatamente quello che è successo da lì a poco non sarà nulla rispetto a quello che succederà, e nessuno saprà mai da dove nasce l’insolenza e i continui colpi di testa del piccolo Mark. Così come nessuno riesce a immaginare cosa diventa realmente Bruce quando incazzato stringe tra le mani una mazza da baseball, e soprattutto nessuno sa se è vero che il vicino Hashim, ha trascorso tre anni in isolamento nel carcere di massima sicurezza a Guantánamo e perché odia così tanto Bruce e i suoi tre figli maschi. Due avuti con la seconda moglie appena divorziata, e il terzo, proprio Mark, non figlio suo ma della prima moglie morta in uno strano incidente, con lui alla guida, dove però solo lei era precipitata dal ponte annegando nel fiume. Senza immaginare di cosa è capace la vicina. Qualcuno dice che sotto le sue piante così rigogliose ci sono i cadaveri a pezzi dei due primi vicini scomparsi all’improvviso nel nulla.
    E comunque, cosa gli altri non sanno a lui non frega nulla, lui lo sa.
    Immediatamente è saltato sul sellino, riavviato la moto, sgommato sull’erba, inforcato il vialetto, distrutto il cancelletto in douglas appena laccato e svicolato sulla strada rincorso dal padre, sfiorato dalla fucilata del vicino, dalle maledizioni della vicina e dal molosso che inseguitolo fino all’incrocio, diventato subito dopo rosso, viene investito in pieno da un camion.
     I tre, invece, rimasti in mezzo alla strada come dei babbioni inferociti, hanno incominciato a guardarsi in cagnesco: uno con il Winchester a pompa in mano, l’altra con un’enorme troncarami dalle lame scintillanti che apre e chiude davanti agli occhi di Bruce il quale, non da meno, colpevole anche di avere uno stronzetto che oltre ai danni ha distrutto in pochi secondi definitivamente i già tesissimi rapporti con loro, brandisce una Rawlings, una mazza in legno che non potrà mai avere la meglio contro quell’arsenale di soverchiante rivalità. L’unico modo per uscirne sarà buttare l’arma, ma sa anche che immediatamente uno gli farà saltare le cervella e l’altra diventare stabbio per le sue future piantine.
    Allora realizza le mosse possibili, conscio del fatto che nelle altre villette i vicini in vacanza non sono in casa a dargli manforte contro quell’orrida coppia assatanata di sangue. Alza le mani stringendo le due estremità opposte della mazza. Resta così inerme per pochissimi istanti, poi inscenando una piena sottomissione, sorride sardonico e si china adagiando lentamente il legno sull’asfalto. In segno di resa, rialzandosi, mette lentamente le braccia dietro la schiena, restando immobile.
    Il vicino, per niente intenerito, carica il gingillo incamerando una nuova cartuccia, dopodiché allunga la canna del fucile dirigendogliela al petto. L’arpia, nel frattempo, si avvicina puntando le tronchesi alla base del collo. Bruce, senza scomporsi minimamente, impugna la pistola infilata dietro la cintola sparando improvviso un primo colpo al cuore di Hashim e un secondo in testa a Rebecca. Hashim però, per via del riflesso condizionato, fa esplodere il colpo in canna prendendo in pieno viso Bruce.
    Ognuno di loro rimane vittima sull’asfalto in una grande pozza di sangue.
    Mark che aveva cronometrato quel piccolo capolavoro di puntuale vendetta, tornato con calma sui propri passi, ha rimesso diligentemente moto e casco in garage. Vendicata la madre, si è sdraiato sul divano, acceso la TV e, finita la birra ancora fredda del padre, ha chiamato la polizia:
    «Venite il mio patrigno è stato ucciso dai vicini... troverete tre cadaveri sull’asfalto».