lunedì 20 gennaio 2014

SPECCH'IO DELLE MIE BRA ME

Di qua (chiaramente qui su Blogger) l’amico Luigi Scebba come estensione del suo nuovo mondo parallelo (per intenderci Twitter), ha chiuso il 2013 con una poesia intima e commovente che mi tocca molto da vicino. Non è facile parlarne qui, di là, ora, altrove, ovunque, senza che io dia l’idea di essere immodesto.
Ho resistito fino ad oggi nel renderla pubblica, ma alla fine ho preso coraggio e l’ho trascritta qui sul mio blog con immenso piacere per poterla contemplare e adorarla oltremodo, standomene comodo a casetta mia. La tengo qui e la custodisco nel mio scrigno.
Ve la propongo per rendervi partecipi della grande testimonianza d’affetto e della maestria di Luigi.

Solo un’ultima cosa. Conosco Luigi solo attraverso i suoi arguti scritti e i suoi magnifici tweet; so che vive in Sicilia e che ha vissuto per un periodo a Roma; non so che lavoro faccia, quanti anni abbia, e mille altre cose ma una cosa so con certezza, io e lui siamo in simbiosi e ognuno è eterenonimo dell’altro e questo fa di lui un fratello, un padre, un amico, un maestro, un mentore da ascoltare, da seguire anche nell’altro mondo [intendo l’iperuranio di Platone (Fedro, 247)].

Grazie Luigi

Specchio delle mie brame

1
Che anno quel che ora corre via:
tra enigmi ardui e giochi di favella,
un uom ch’è scrigno vero d’alchimia
sorse d’un tratto nella vita mia.
O Muse, voi dall’Eliconie cime
grazia e vigor spirate a le mie rime.

2
Ei pria conobbi tra mentite spoglie,
qual Ninninedda di parol virtuoso;
ma tra stupore ver fin alle doglie
fui tosto vinto da segno imperioso
ch’ei tratto avean da mia madre stessa,
tal era simiglianza vasta e spessa.

3
Non perviamente vissi l’agnizione
ché l’amor proprio agogna l’eccezione.
E tuttavia ampliandone nozione
cresceva a dismisura suspicione
d’una medesimezza mera e fiera
che al vento garriva come una bandiera.

4
Mi colse poi crudel melanconia
per tema ch’ei al par di me soffrisse
l’istessa accidia, la misantropia
de l’ironia dell’aspra Apocalisse
ch’è tutto vano fuor che l’oro puro.
Ma l’oro puro poi è a tutti oscuro.

5
(…)

6
Poscia dubbi e timor fugò allegrezza
ché folleggiar per testi rilucenti
tra spume di parol fin all’ebrezza
volando l’onde e pure le correnti,
Ben molce l’alma e nutrica la mente,
Se duce Franco Chirico, sapiente.




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Solo ora, comprendo il delicato, il velato, il sottile, il sottinteso e preciso riferimento alla mia indole nascosta nella strofa n.5. Mi identifico molto anche in quei tre puntini tra due parentesi tonde, che fa delle mie mancanze (e vi giuro che sono tante) un’osanna, una pausa, una sospensione, un vuoto che cerco di colmare, un aferesi da immaginare, una strofa da scrivere, un quadro da completare, ... ma che è presente, mentre è, così deliziosamente, mancante.