giovedì 21 agosto 2014

Nibbio vs Colomba


Metamorfosi (Rivalità in campo) - Acquaforte autore, 1982 (cm 30x36)



     Bohm!
     Accipitride, che botta! 
Ancora rimbomba nell’abside. La possente falcata del leggendario terrore dei cieli senesi, un gigantesco nibbio reale, si è infranta, con un’ottusa craniata, sul grande capitello dell’Abbazia di S. Antimo. Il frenetico scodinzolare di una docile colomba impaurita, inseguita per un breve tratto nella scoscesa valle starciana, lo ha tratto in inganno. Quella candida e minuta preda è stata più furba di lui a calarsi nel chiostro dei frati, e da lì, infilandosi dalla finestra della bifora che dà nella cappella, scostata per far uscire l’accumulo di fumi d’incenso, gli ha fatto smarrire il Dio dei cieli in uno spazio angusto per le sue possenti ali. 

   La gnappetta, scaltra più che veloce, si è divertita a farlo annaspare in quell’ordito di colonne zigzagando tra le navate, umiliandolo svariate volte oltre a farlo pivotare su se stesso come un fuso. Soddisfatta ha incrociato ripetutamente tra i matronei, sfiorato le arcatelle cieche affrescate di santi per poi planare nel deambulatorio e acquattarsi, per un attimo, sul pinnacolo dell’altare. Non doma, è ripartita giù come un proiettile attraversando l’intera lama di luce satura di pulviscolo per risplendere, come in un’icona divina, in un immenso chiarore accecante. Nel buio successivo, ha riabbassato il suo crudele incedere in picchiata per fargli sbattere in faccia, in tutta la sua crudezza, la traslucidità dell’alabastro.

    Il pomposo, invece, fulminato sulla via di Damasco, è rimasto abbacinato dapprima dal quel barbaglio sospeso nell’aria e subito dopo dai riverberi della luce del sole che si è ulteriormente accesa maligna perfino sugl’intarsi delle venature della pietra spugnosa, fino a cozzare contro il capitello delle quattro solenni aquile che regna sovrano in fondo all’altare. Qui, terrorizzato dalla visione dei suoi stessi simili, si è convinto di essersi presentato al loro cospetto, accusando il colpo per il tremendo cozzo. Il successivo stortarsi del collo lo ha fatto piombare, come in un cartone animato, sul duro pavimento, picchiando nuovamente la coccia. L’improvvisa penombra gli ha riacceso antichi timori ancestrali, ritrovandosi immediatamente dirimpetto al proprio sconvolgente doppelgänger.

    Lei aveva calcolato tutto, sapeva di farlo precipitare, insieme alle sue fregole, addosso alla dura realtà di quel capitello romanico del XII secolo. Così come sapeva che se fosse rimasta ancora a farsi rincorrere nei cieli azzurri, lungo le anse del torrente Starcia, tra le gole dell’aprica macchia mediterranea, lui l’avrebbe sopraffatta chiudendo in bellezza il pasto quotidiano. E ora non starebbe lì a gongolare divertita nel vedere quel metro e ottanta di ali maculate di bianco che s’incrociano con l’enorme fulva coda biforcuta, dibattersi sul pavimento, alla base del toro, in preda ad uno stordimento mortificante. Un ottundimento amplificato dai fumi degli incensi liturgici fusi alle armoniche pervasive dei canti gregoriani intrise da secoli nella pietra locale - i gloriosi Magnificat dei frati - che stanno riesplodendo tutt’insieme dentro di lui in una fragorosa energia subatomica e mistica.

   L’assordante frastuono interiore scatenato dalla tremenda craniata, gli sta restituendo un mondo implicato, intriso di energie primordiali miste ad una quantità d’allucinazioni sincroniche che stanno dando spazio alle cronache Akasha presenti in quel luogo sacro. Nello sconcerto totale riesce anche a sentire il ficozzo gonfiarsi e a immaginare le cervella riversarsi sul pavimento. Il dolore è talmente acuto che gli si apre un corridoio di visioni psicotiche iperdimensionali e atemporali. Una sorta di estasi mistica dove pensieri di senso compiuto prendono il sopravvento spazio-temporale. Una delle sue precedenti vite emerge con vigore e inizia a ricordare e a vaneggiare Basta! Scendo dal Paradiso, ho le ali!”, “Non sono morto, volo”. Recita un brano di un antico testo teatrale: “Nò, alla Colomba solo la beltà si somiglia, per insegnare a chi rimira il suo bello, che la leggiadria di quel volto deriua dalla preferenza del Sole, di Dio”.
   La mente non comprende il proprio delirio. 
   Rivede davanti agli occhi la sensuale e perfida colombella e l’eco di quest’ultima parola esplode nei suoi susseguenti sproloqui neuronali “bella, bella, ... bella” allitterandola in“belva!”.
   Nella confusione, omprende che sta emettendo suoni ben articolati, parole.
    “Cavolo, io parlo?
    “I pensieri mi si accavallano!”
   “Ma no, il cavallo non c’entra niente, quella era una colomba”.   
    “Sì, sì, ho dato proprio una botta addosso alla colomba”.
    “No ma che dico, era una colonna, non una colomba ... uhmm che dolore!” 
   “Scusatemi Santi del Paradiso, sbaglio parola... come si dice? Omofollia, omofobia..., no omofo... fonia, maledette parole che s’assomigliano”.
    Rifiata, s’affanna a tirarsi su, nulla! Infine, il pensiero della colonna lo sconvolge ancora.
    “Colonna malefica mi piacerebbe buttarti giù ed emulare Sansone”.
   Riflette su quanto detto e si accorge che i suoi pensieri si raccolgono ancora una volta sotto forma di parole e ogni piccolo movimento aumenta la sua agonia.
    “Ma cosa ne sa un rapace come me di cristianesimo? Di dodici colombe! Oddio che ho detto “dodici”? Le colombe, si sa, sono docili ... docili, pacifiche! Simboli di pace?! Di israeliti, di Dalila, ... di Lazzaro? No, quella è un’altra donna! Oddio che confusione, Lazzaro è un lui! Un ladro resuscitato! Morto e resuscitato, come me. Non sto capendo più nulla. Ammazza che botta.” 
  “Mi sorge un dubbio: io sono una creatura d’aria o di terra? Sono uno spirito o sono carne e ossa? Un povero implume bipede o un alato predatore del cielo?” 
  “Però, aspè, come fa un nibbio a conoscere le vicende dei Filistei? ... misteri della fede!”
   «... annunciamo la Tua morte o Signore»
 “Quest’ultime non sono parole mie... Chi ha pronunciato queste parole? Devono essere stati i frati... Allora sono ancora qui, sulla Terra. Ok, ok, vaneggio. Perciò, se le ha inquadrate la mia mente sono espressioni, ovvero visioni da falco, ...  non nel senso che vedo le cose come un falco, cioè sì, sono un falco, vedo come un falco ma nel senso metaforico, ... ohiii, ohi ...”. 

    La colomba percepisce i vaneggiamenti del nibbio e assiste incredula alle trasformazioni che sta subendo. Davanti a lei sta avvenendo l’inverosimile: il nibbio sembra essere posseduto, emette davvero parole umane e pure ben congegnate. Ancora una volta il limite tra fisico e metafisico si contagia.
    L’intorno risuona sotto una pressione quantica.  
“Non io sono irreale è la realtà che è un ologramma, l’universo è in olomovimento e io sto riverberando con lo spazio-tempo circostante. Qui è in atto la Sacra Geometria, la vedete anche voi, vero? Qui la sezione aurea esplode in ogni anfratto, tutto risuona armonicamente ... Ecco, vedete, anche io tremo, sto vibrando come un diapason ... là ... no volevo dire qua. Noo! Intendevo la nota la, ... Ahia! ... Sì son io che vibro come un tetracordo in tutte le scale sonore..., riverbero un’ottava sopra, o sotto? Un Otto, 8: due cerchi, uno sopra ed uno sotto. Oddio che cerchio che ho in testa”.

    È impressionante quel che sta succedendo sul quel pavimento. La metamorfosi continua e le parole non riescono a frenarsi.

“Striscio, sembro un Quetzalcoatl: il serpente... Il serpente che mi morde la coda! ... Sono forse io un Ouroboros? ... Cazzo che frastuono interiore! Che casino ste parole. Se non fosse che ho sbattuto la testa si direbbe che queste non sono parole ma formule psicagogiche che mi accompagneranno agli inferi. Oddio! Allora, non sono ancora morto, sto morendo. Per tutte le aquile dei giardini celesti, mi sto per caso reincarnando?!? Ecco, io sto mutando, sto cambiando corpo... non sono più in equilibrio, vago ... è la dura legge del karma!”.
  “Calma, pivello”.
    Quest’ultime davvero non sono parole sue, comprende di averle sentite distintamente intorno a sé. La colomba è divertita dallo spettacolo e assiste sconcertata a quella sonora possessione. 
   Certo è che una batosta così, presa come un pollo, poteva costargli la dipartita dalla terra o dal cielo.
  A quel punto il nibbio rinviene, si guarda intorno, vede la colomba gongolante. Si infuria, cerca di muoversi ma è troppo debole per spiccare il volo, resta inchiodato a terra. Odia con tutto il cuore quella “Stupida colomba”.
   I bernoccoli cresciuti alacremente e quelle protuberanze, che lo fanno assomigliare al Mosè di Michelangelo, accendono anche la mistica delle voci, tanto che adesso sente quelle impertinenti di uno strillone: 
    “Leggete gente: Una candida Colomba umilia l’arrogante Nibbio reale”. 
Se le immagina stampate davanti agli occhi, su una lunga colonna, come un’irridente notizia di spalla sulla prima pagina del quotidiano locale. S’infiamma.             
   “Maledetta colonna infame!”.
    Immagina anche il sottotitolo: “L’invincibile predone dei cieli di Montalcino ha sbattuto il muso contro una colomba nell’abbazia dei frati benedettini, scivolando scomposto, giù sul bugnato”.
    Divertito, riconosce le ultime parole, riesce a percepire il lapsus linguae svirgolato in calami. Nel delirio più totale inizia a ridere, ride scomposto, ride divertito, frastornato, ride umiliato, Fra Stornato... ahahah” ... fino a che le risa non lo scuotono del tutto. Ritorna in sé. L’indole rapace riemerge. Alla cieca inizia a tirare fuori gli artigli fino all’inverosimile per arpionare, nell’eventuale vicinanza, quella stramaledetta malintenzionata e perfida paracula colomba. Ma il suo è solo un dimenarsi scomposto tanto che finisce per incastrare le unghie nell’intarsio marmoreo, impigliandosi così nella rete dei suoi stessi inganni. 

    Sono le ultime mosse di chi ormai è completamente perso. Ritorna in sé. Rilassa le sue membra mortificate e, proprio nell’ultimo vaneggiamento, quello del riscatto, prima di volare via umiliato, lontano dalla scienza, dalla mistica del luogo che fino a poco fa s’è frapposta alla religione, lontano dall’istinto predatore tradito dal coraggio altrui, Fra Bartolo, che lo sta osservando dall’inizio ridendosela di gusto, gli chiude le ali e gli lega le zampe, lo prende per il collo e lo incappuccia: “Vieni qui, smetti di dire stronzate, hai tutto da imparare da una docile colomba. T’insegnerò io come catturare le prede”.
    Fra Bartolo, con il nibbio stretto tra le mani, rimira soddisfatto la sua colomba impettita sull’altare maggiore, fiera della nuova preda catturata per il suo affettuoso cenobita. Spicca il volo, e prima di ritornare regina dei cieli, si posa sulla spalla del suo amato frate che le manda un bacio e un sorriso, gratificandola con una carezza sotto il collo e una manciata di chicchi di mais.

    Franco Chirico

domenica 10 agosto 2014

10 agosto - San Lorenzo




Chiuse gli occhi
e vennero giù pie lacrime.¹
Sorrise, a quei lunghi rintocchi
di campane, le prime
brillavano più lontane.

Distese le braccia
e mosse ogni perseido anfratto.
Il cielo gli brillò in faccia
l’intero firmamento, il ritratto
in mille stelle cadenti.

Accolse la speranza
e il sordo brulichio di fisse
accese meteore sull’organza.
Desiderò che domani lui le sentisse
cadere nelle sue mani.


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¹ Lacrime = Le lacrime di San Lorenzo sono le Perseidi, stelle cadenti legate al 10 agosto, giorno del martirio del santo.

sabato 2 agosto 2014

Hydruntum

Muti e con il respiro sospeso stavano accogliendo benevolmente l’allure che precedeva l’ultimo cavaliere arrivato in città. Il suo lento incedere sotto gli infuocati raggi che abbacinavano l’aurea corazza nell’immenso vasto aprico a chianche leccesi, divenne trionfante man mano che iniziò a percorrere le vie interne dalla Porta d’Oriente. Fu a tutti evidente che si aggiungeva a loro un forestiero di grande valore. Ai suoi occhi impavidi, rinfrancati da tanta accoglienza, la città apparve prospera, opulenta, aperta, franca, pronta a istituire in suo onore soterie e soiree danzanti. Ai loro, invece, corrosi da sopita acquiescenza mista ad antica ostinazione, fu evidente che quel condottiero pervaso da grande fascino, da lì a poco, li avrebbe liberati dalla serpeggiante e selvaggia malvivenza che stava incancrenendo l’estrema cintura dei bassifondi del borgo idruntino. Zone inavvicinabili. Un intricato viluppo di viuzze e tuguri, un labirinto di budelli bui tenuti stretti da putridi abituri. Angiporti infestati da criminali e miserabili, preda di vizi e aspre contese, che dominano la parte più ignobile e malfamata della città, quella ormai prossima a loro, non più limitrofa, l’impenetrabile suburra. I due volti della stessa città.

Franco Chirico
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Diconodioggi e Pagina99we - 2 agosto 2014

City


Qui lo schema e le regole del gioco lanciato nella settimana precedente
da Antonella Sbrilli su Diconodioggi



Dal 22 febbraio 2014 mi sono messo a giocare con Diteci di oggi
Sopra il mio diciannovesimo contributo apparso sulla pagina 46 di Pagina99we.

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È probabile che la pavimentazione a chianche non fosse presente intorno al 1200, e che la sistemazione non fosse così vasta come l’attuale (ben visibile dalle registrazioni su Google Maps). A me è servita per rendere ancor più accogliente il centro di Otranto e con esso la parte valorosa e cristiana della cittadina. Di certo, ogni grande città nasconde, ai trionfanti e vincitori, il lato oscuro e meno nobile dei propri bassi istinti. Un grumo di cellule malate che vanno estirpate per non far incancrenire quelle sane.

Resta un dubbio, quelle sane sono solo quelle che saltano sul carro, o cavallo, del vincitore, di turno?