domenica 18 dicembre 2011

INTERESSENZA




Mi interessa la tua indifferenza
perché allontana la mia attenzione
ora che il mio desiderio è un tuo pensiero
per rifiutare il mio pensiero.



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INDIFFERESSE.


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sabato 3 dicembre 2011

martedì 1 novembre 2011

NOMON - Neologismo (1)

NONOM = Neologismo (termine specifico da utilizzare al posto di sagoma).


NOMON = s. m. [dal greco Nomos (pl. nomòi): 1. consuetudine, norma, 2. nomo, nomisma, nomarca, da qui nomade (chi cambia dimora)]; propr. perimetro, circuito, contorno tracciato sul pavimento per delimitare e rappresentare l’ultima posizione assunta dal corpo di un individuo prima di morire. Per estens. nomon del cadavere, nomon sull'asfalto dell’uomo investito, il poliziotto tracciò il nomon della vittima con un nastro adesivo bianco. Nomon è un termine palindromo, bifronte, circolare, chiuso ad anello come lo è il contorno di una sagoma. Viene utilizzato per esprimere non solo il contorno di un tracciato chiuso intorno ad un cadavere ma anche ad un oggetto (es. impronta circolare di caffè lasciato dalla tazzina sul tavolo, il segno di una penna intorno alle dita di una mano, etc. ). L’origine del termine sembra nascere anche dalla crasi di due termini: No-OMO, No-Man, No-humanus; espres. universale con valore privativo che vale come “non-più-uomo” (individuo non più vivo). Cit. Segno nomonico dall’inconfondibile lineamento femminile.

Quando il nuovo lemma nomon si è impossessato dei miei pensieri una gioia immensa ha attraversato il mio essere. Ho esultato appena ne ho intuito la potenza, l’afflato (sic!). Un tremore ha scosso il mio corpo pervaso dalla calda forza che emanava il neologismo dato alla luce.

Davanti ai miei occhi ho intravisto il cambiamento che un solo termine può riuscire a provocare quando modifica abitudini e linguaggio in una comunità; quando una nuova parola scombussola la vulgata forense e fa prendere una nuova piega alle definizioni scientifiche; quando una vecchia parola come “sagoma” cade in disuso e non riesce più a connotare, nello specifico, il contorno tracciato intorno ad un cadavere o a un oggetto steso a terra.

Un lento declino, inesorabile, ha messo in pensione il vecchio termine e un trionfo ha spalancato le porte ai barbagli del possente friccicore del nuovo (sic!). Assaporando la gioia di essere parte attiva degli ultimi indefessi e salubri inseminatori di parole, ne ho assaporato a lungo la paternità e una certa contezza mi ha trasformato in un piccolo ma necessario creatore (sic!). 

Ho percepito chiara e forte la sua potenza in fieri mentre si faceva verbo, l’apoteosi nel divenire un nomen (omen), una cosa che prende corpo e diviene sostanza trasformandosi in sostantivo, che definisce, determina una propria entità, una sua essenza, un nome, ... che diviene lessema ... verbum... logos.

Nello stesso momento lo sconforto si è impossessato di me, ho visto chiaro e tondo la sua vis viva, la magia, il suo trasformarsi in parola e, nel tempo, parola abusata, inclusa nelle pagine dei vocabolari, imprigionata con altri lemmi, suoi tanti derivati (diminutivi, vezzeggiativi, spregiativi, accrescitivi, peggiorativi, aggettivi, avverbi, etc. ), per poi scomparire, perdendo corpo e consenso, nel futuro a sé prossimo, nei meandri delle parole disusate, morte.

L’apatia ha avvolto, come un’aura nomonica, il mio essere e una distonia ha intorpidito il mio corpo piombando nella più confortante malinconia. Con il tempo, non lo stesso che mi ha portato fin qui a scriverne, perché è un tempo postumo (difatti mi sento morto quanto la sagoma), nel conforto del ristagno dell’atrabile, ho rivissuto alcuni dei miei istanti infantili quando sui banchi di scuola, realizzavo per la prima volta, che abbiamo la pessima abitudine di definire con l’aggettivo “rotto/a” la nuova sventurata realtà di un oggetto non più integro (l’orologio è rotto, il braccio è rotto, etc.). 

E scoprire, successivamente, che noi umani abbiamo un nome per tutto: occhiali, ombrello, ramo, capelli, computer, vangelo, dio, casa, vetro, ... ma non abbiamo un termine per definire un ombrello rotto, una casa crollata, un auto distrutta, aggiungiamo, per esprimere e comprendere il nuovo stato delle cose ormai inutili, solo rotto, spezzato, distrutto; eppure, per un essere vivente, diciamo: “cadavere”, “salma”, “spoglie”, “carcassa”, “carogna”, non diciamo uomo rotto, cane rotto; certo usiamo forme come vita spezzata, vita interrotta, stroncata ma sono solo eufemismi per quando non abbiamo il coraggio di dire “morto”.

Insomma, per dirla con le parole di chi l’ha vissuto da bambino, non ci premuriamo di definire ombrello rotto con un nuovo termine, tipo: strìpiolo; una casa crollata con: prubia, gnavelle, scrate, ... o semplicemente ridefinendo il lemma con il suo esatto contrario asac, ollerbmo, ortev, ... Lasciamo tutto com’è, nicchiamo, non ci curiamo del loro stato, per noi nessuna di quelle cose ha più la dignità di esistere, di essere. L’ineluttabilità, la morte, attiva l’inesorabilità alle cose, alla vita degli oggetti, ancora prima di aver inventato e ridato a loro un nuovo nome, una nuova ultima vitalità.

Eppure, l’invenzione di un nuovo lemma avrebbe solo una intima eco di disperazione, questo è lo sconforto che emana la nuovissima parola appena coniata: morte. Perché le parole che utilizziamo sono già vecchie, putride, decrepite... proprio perché espresse. Heidegerr asseriva “L’uomo, appena nato, è già abbastanza vecchio per morire” figurarsi la parola.  

Ogni parola che pronunciamo, appena detta, è appassita insieme ai nostri pensieri, non potrà mai sprigionare il suo senso primigenio, la freschezza del suo significare finché era nella mente, finché era parte dell’archetipo o di un’archiscrittura. Eppure, la prima volta che l’ho scritta, ho pensato solo: l’ho appena pronunciata e ha già perso il candore della prima volta, la freschezza del suo esordire nel presente, nel contingente e già olezza di marcio, di stantio, di putrido.

Ogni parola che scriviamo non contiene mai l’oggetto dei nostri sentimenti, del nostro sentire, del nostro essere, è solo una mera descrizione. Il mondo non esiste nelle parole. La lingua o il linguaggio è un luogo di lessemi morti, le parole sono le tombe dei nostri pensieri, le lapidi delle nostre idee, tessere giganti di un domino che non avrà mai fine. Ma, al contempo, le parole sono la cura, il rimedio, il palliativo che ci illude di operare su un corpus che è e resta malato. 

Crediamo che la parola ci renda vivi, ma con esse ci illudiamo di vivere; sprigiona solo un’energia vitale che ci lega l’un l’altro ad un presente che è solo la porta della speranza di fuga del passato. La parola non ci concede un futuro, ma solo un contingente pieno di rivendicazioni e confronti. È terribile dirlo (Dickinson sbagliava) “la parola è morta”.

Ogni nuova parola non è l’illuminazione di una nuova visione, ma del buio che permea le altre; è solo l’eco della luce che contiene il logos del lucore che l’ha generata. Ci illudiamo di costituire e sostituire i nostri nuovi pensieri e con essi crediamo di cambiare il mondo in saecola et seculorum, ma con le nuove parole distruggiamo solo le precedenti scoperte altrui, camuffandole in sconfitte, bruciamo solo vecchie conquiste, così come il (mio) nomon cerca di fare con sagoma

Quindi, la mia eccitazione per questa nuova parola, è solo un’orrida emozione vecchia come l’uomo, vecchia come il mondo, è la malattia della nostra esistenza: perdersi in bricciche. Perciò, avrò pure inventato un nuovo lemma, ma sarò solo un ignobile Lucifero che cerca di accendere il faro a quel miserrimo divenire parola, uno strenuo difensore del cammino del linguaggio degli uomini. 

Un oceano di silenzi accenderà il suo apparire nel mondo e affogherà la mia ipocrita speranza di creatore di lemmi, probabilmente tra gli altrui affettuosi sentimenti e le ipocrite approvazioni, tra le sfrenate rimostranze e le spietate critiche, tra gli sghignazzi e gli insulti, ... ma io posso solo dire a mia discolpa, se serva poi a qualcosa o a qualcuno: “ho cercato parole che non sono riuscito a dire, ho scritto parole che non ho saputo pensare, ho inventato lemmi che non potevo creare”.

Sit venia verbo.

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sabato 15 ottobre 2011

COLAZIONE

 
La mattina
se non prendo
un cappuccino
non cornetto!
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Corollario/Sottotitolo: «Il mattino ha l’orzo in bocca».



Ringrazio apertamente Massimo Bucchi che mi ha dedicato questa vignetta nel lontano 1997 per la copertina del libro (freddure, tautologie, calembours, allotropi, portmanteau, anagrammi, versi sotadici, coliambi, ...) che prima o poi pubblicherò con il titolo: “La mattina se non prendo un cappuccino non cornetto”.

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giovedì 22 settembre 2011

E IO TI PRENDO


Corri, corri sempre più 
lontano in ogni vita, in ogni amore, 
corri, come un chicco di grano 
diventa fiore, 
corri, come un bruco vola via 
corri, come uno sguardo penetra in me. 
E io ti prendo. 

Ascolta, ascolta il mio destino 
che si trasforma ad ogni tramonto, 
ascolta come un sorriso 
si fa mattino; 
ascolta come una carezza 
addolcisce i miei occhioni, 
ascolta, come un bacio 
dona il fuoco della vita! 
E io ti prendo. 

Gioca, gioca dentro di me 
dove il fiume scende a valle; 
gioca, come il vento alza l’onda, 
gioca, dove il seme si rinsalda, 
gioca, per sempre in me 
tra l’acqua più profonda. 
... ... ... 

E io ti prendo.


venerdì 9 settembre 2011

PRESA DI COSCIENZA



La circonlocuzione è scoppiata.
«Senz’ambage» grida
per ultima una voce querula
al di qua del quadro.
         Qualcuno dirime la controversia scatenata.
Beata ignoranza!
Scoppia a ridere a scatafascio
appartato il sofista.
Io mi perito di dire qualcosa continuando a dipingere.
Senza indugi, poi serio
il luminare esplode
“non sono il vostro ludibrio”
in preda certamente ai sensi di colpa.
        Gli indotti sbadigliano tra una pausa e l’altra.
Scopriamo l’entasis del tempio della Musa.
L’epigono cerca di salvare l’applauso
indarno rimastogli,
ed io, tra l’altro
smetterò di credere
nell’altrui eristica sine die.


Il mercato dell’arte è morto per sempre.
Permette solo ai portafogli di esprimersi.
Il Critico continua a scrivermi versi rancorosi
pieni di encomi sofisticati;
io farò tesoro di Carte Segrete
e della mia presa di coscienza: smetterò.
         La celebrità dell’artista riempirà le loro noie.






sabato 27 agosto 2011

ME MENTO


Non dici a me... non dici a me... No dico, non dici a me... di sicuro?! Lo sai con chi non stai parlando tu?!


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...e altre cose che “a pelle”, se ben ricordo, non mi dico più se mi guardo nello specchio.





venerdì 15 luglio 2011

R-EVOL-UTION


... ...Jack a differenza dei suoi coetanei, nei moltissimi momenti di ozio, oltre ad elaborare lemmi, passa il tempo in internet a s->correre e a dis->correre; il termine “navigare” non lo suggestiona e non gli suggerisce alcunché. Preferisce dia-blogare con i suoi blogger e tenere con essi un largo rapporto relazionale da internauta.
    Diablogare, a differenza degli altri due vocaboli correlati a correre, che ha appuntato altre volte, e su più pagine del suo diario (Il diario di Jack), è un neologismo sincrasico che lo ingrifa, come tutti i “lemmi-macedonia”. Lo sente particolarmente vicino, perché presenta in sé il temine gare (com•p-etere) e di-ablo, che non vede nell’accezione negativista cristiana come demone, ma come il dàimon dei greci: lo spirito guida, il genio personale, la luce primordiale che sin dalla nascita accende gli stati d’animo degli esseri umani. Il portatore di luce che porta ad una sorta di eudaimonía: il ben essere.
    Diablog è per Jack lo spirito illuminato, l’anima della rete, la forza misteriosa che gli sta insufflando nell’animo, prematuramente per la sua tenera età, oltre alla gioia di vivere, l’idea che il bene personale deve essere tenuto stretto - cioè condiviso in rete - a quello di altri individui. Ha compreso che per arrivare alla propria crescita e, di conseguenza per simbiosi con gli altri, all’illuminazione universale, deve passare attraverso la partecipazione del sapere reticolare.
    È questo spirito divino della consapevolezza gli sta facendo crescere, anzitempo, l’idea che i bisogni individuali devono concordare con quelli collettivi in modo che, mentre ognuno cresce sereno e in libertà, il proprio essere raggiunge anche il tanto agognato “bene comune”, coincidente con il più grande pensiero positivo: il concetto più ampio di a-reté: i virtuosismi della rete, portavoce della collaborazione calefattiva racchiusa nello slogan People, Projects & Patterns (PPR) promulgato, a suo tempo, da Ward Cunningham.
    Il principio morale di chi mette tutto a disposizione ponendo ogni essere in condizione di libertà per costruire cattedrali di sapienza infinita: Ad usum fabricae. Il motore etico che gli sta facendo divorare anzitempo e velocemente (pre->correre, appunto) la condivisione nel world_wide_web, per sdoganare nel proprio porto, a uffa, stramilioni di informazioni stipati nei blog, nei portali, nei social network e, soprattutto, dentro Wikipedia: la libera enciclopedia.
    Jack è contagiato dal dàimon “wikiwiki” che sovrintende alla divulgazione aperta della ricerca culturale condivisa, nonché alla felicità della scrittura e della lettura. Questo suo amore per le parole, in parte, lo conferma. 
   Parole referenziali da far convergere, o per dirla alla Jack, con->correre verso la sinonimia: la dorsale perenne dei significanti più prossimi; la catena endemica dei vocaboli primordiali emersi nella notte dei tempi e che generazione dopo generazione, muta senza tregua; la frastagliata cordigliera che genera le più alte vette dei significati che puntellano la nostra coscienza e che formano il coriaceo esoscheletro etimologico in una intricata labirintica dicotomia che si dipana ad albero o si lesiona scoppiettando all’infinito come sa fare un frattale nella dualità permeata nel contrasto (inteso come esclusiva differenza) o nella analogia (percepita come retorica della complementarietà).
    In questa spigolosa visione della legge del contrappasso che bivacca tanto nelle parole quanto nella realtà, in Jack si accende il bisticcio che è sempre in agguato. L’opposto, il dissimile, l’altro aspetto di sé buio e malmostoso che spinge un pensiero e una persona altrove nel tedium vitæ, oltre il proprio sé razionale e benevolo. Il quid insanabile che lascia spazio e territorio all’altra essenza, all’oltre, al demone necessario che alimenta inesorabilmente i picchi inversi, inabissati come cattedrali capovolte (Al di là dei Sogni), nell’inferno dell’anima, nel lato oscuro dell’individuo, la malinconia: il mal essere.
    L’intrigante spirito che ci mostra il vero valore e l’altra faccia della natura umana, quella che dà un senso alle cose tristi e infelici: il di-verso stampo della stessa medaglia, la verde prateria rigonfia di momenti eclettici, di sinistri e malefici istanti, pervasi di una imperturba-bile e distruttiva estasi, che prende (s)conforto e sostanza in “momenti no”. Influssi flemmatici che riempiono buona parte delle nostre fragili giornate. Lenti palpiti in cui ogni cosa sembra andare storta e si vorrebbe scomparire alla vista dell’altrui esecra-bile angoscia, oppure, volgarmente: sfanculare tutti. Attimi di intima (r)esistenza nei quali si desidera restare soli ad oziare nei meandri impenetra-bili e oscuri della diverticolite dell’anima: la landa inesorabile rigonfia di rigurgiti dell’atrabile, o in una discrasia verbale diversamente ironica, del latrabile: Homo Homini Lupus.
    Flussi di sentimenti e di risentimenti, ideali per stravaccare sulla sponda necessaria e vedere scorrere sotto i propri occhi, la rivoluzione, il fiume infinito mai simile a se stesso, che sgorga imperituro dalla propria esistenza verso ogni remoto recesso della personale evoluzione. Come sta succedendo adesso a Jack, per nulla rintanato nella propria tranquilla esi-stanza, nei propri affetti, nei visionari e necessari mondi tardo-infantili o preadolescenziali già maturi per insufflare perennemente nei pomeriggi collinari il propr’io imberbe ed apprensivo. Il proprio riservato candore che prima o poi riuscirà a fargli ascoltare la voce e vedere la luce interiore divenire consapevolezza e riconoscere il proprio dàimon, come ben suggerito nel simbolico ed esoterico The Matrix dei Fratelli Wachowski. 

    L’apprensione verso il sesso (ignoto e misterioso) in Jack è pari alla sua precocità nello scoprire ogni conoscibile attraverso la presa di coscienza, ma scompare quando la madre, nei pomeriggi post-scolastici, nel supportarlo allo studio dei classici, l’opprime con la sua veemente personalità di scrittrice capace di estenuanti e massacranti citazioni letterarie. Vorrebbe prendere ogni volta la pillola rossa (scongiurando la localizzazione anche a Morpheus) e ritrovarsi con la propria indispensabile R-evoLution su, su in alto, in collina (simbolo fallico? Yang) nella profonda tana del bianconiglio (utero madre terra? Yin) e risperimentare l’emozione dello sfanculo materno, il Complesso di Edipo (Io) che verte alla predisposizione a recidere, (d)a ritroso, cordoni ombelicali di ogni sorta.
    Ritrosia evolutiva e risolutiva, un andirivieni cancrizzante o sotadico, un su e giù continuo, l'atto di chi s'infila in un tetro tunnel (Mito della caverna) da riper->correre a monte (il Viaggio dell’eroe dagli inferi) ben espresso e sublimato in un magico bifronte bilingue (R-EVOL-UTION) che ci magnifica il senso del mondo; una splendida epifania copulativa (hieros gamos) che rappresenta la sintesi dell’evoluzione del Lessico, nonché la riorganizzazione dell’io come soggettivazione che libera al mondo il nuovo EsSeRe (chi finalmente sa scegliere = l'eRetico) divenendo Re e padrone di se stesso: il “Rerum Novarum”. Solo chi recide rilascia intatto il legame dietro di sé, solo chi modifica a propria immagine il mondo interrogato dalla Sfinge (Inconscio-Ombra) nella più completa risonanza con l’universo sa spingersi fino al cambiamento (rivoluzione interiore) e ritrovarsi in una magica simmetria bidiRezionale: Revolution<––>NoiTuLoveR.




Brano tratto dal mio prossimo romanzo Twin Flowers.
Jack è un adolescente californiano che inventa novelle e sogna di diventare il nuovo sceneggiatore-regista di Hollywood. Ha un conflitto con la madre (scrittrice: Catherine Tramel di Basic Instinct) e un pessimo rapporto con il padre (poliziotto: Mel Gibson di Lethal Weapon). Per essi e con essi inventa una storia fantasy, thriller, noir, che ha a che fare con altri personaggi del mondo del Cinema e con i fiori (Iris e Rose, inoltre sono due sorelle gemelle - Twin Flowers - riguardatevi bene l'immagine del Cagnacci presentata qualche post fa). Qui mi interessa presentarvi (brano tratto dal primo capitolo del romanzo “Via col vanto”) il mondo di Jack che scoppietta in una sola parola R-EVOL-UTION (il mio avatar).




mercoledì 29 giugno 2011

MATRIX - Da prendere con le mollette



Bucatini alla Matriciana.   
(Neo Spaghetti Western)



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Forchetta?! Ricorda: il cucchiaio non esiste...
e altri panni da stendere!




domenica 26 giugno 2011

BUSserie



Uso privato di mezzo pubblico!




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L'altra metà non l'ha ancora visto.




mercoledì 22 giugno 2011

lunedì 13 giugno 2011

In direzione ostinata e contraria





Smisurata Preghiera 

Alta sui naufragi 
dai belvedere delle torri 
china e distante sugli elementi del disastro 
dalle cose che accadono al disopra delle parole 
celebrative del nulla 
lungo un facile vento 
di sazietà di impunità. 

Sullo scandalo metallico 
di armi in uso e in disuso 
a guidare la colonna 
di dolore e di fumo 
che lascia le infinite battaglie al calar della sera 
la maggioranza sta 
la maggioranza sta 
recitando un rosario 
di ambizioni meschine 
di millenarie paure 
di inesauribili astuzie. 

Coltivando tranquilla 
l'orribile varietà 
delle proprie superbie 
la maggioranza sta 
come una malattia 
come una sfortuna 
come un'anestesia 
come un'abitudine 
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria 

col suo marchio speciale di speciale disperazione 
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi 
per consegnare alla morte una goccia di splendore 
di umanità di verità 

per chi ad Aqaba curò la lebbra 
con uno scettro posticcio 
e seminò il suo passaggio 
di gelosie devastatrici e di figli 
con improbabili nomi di cantanti di tango 
in un vasto programma 
di eternità 

ricorda Signore questi servi disobbedienti 
alle leggi del branco 
non dimenticare il loro volto 
che dopo tanto sbandare 
è appena giusto che la fortuna li aiuti 
come una svista 
come un'anomalia 
come una distrazione 
come un dovere.

 

giovedì 26 maggio 2011

L'UNIONE



Quest’unimento spirituale
dell’anima alla cosa amata,
la pungente ironia dell’universo
punta lontano
nel ritorno apparente
che vibra d’eternità.


Io assolato deserto.
Io assurdo contatto.
Ho fallito nel tempo!
Ho creduto certo l’unione... il legame.


Tremenda notte trasfigurata
in miserabile apparenza,
la tua bellezza sensibile
fa ascendere nel mondo ideale.
Tremenda notte pellegrina!
Incompiuta comprensione
in multipli pensieri:
«Il Bene eri!»
poi svanisti
nei singulti dell’illusione.

sabato 14 maggio 2011

Udita

Umano


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E l'uomo creò Dio a sua immagine e somiglianza. 
Da queste dieci lettere nasce la logica del sistema di numerazione decimale e il linguaggio del sordomutezzo... solo a parole.




 
Creazione di Adamo - Michelangelo Buonarroti
 Cappella Sistina - Musei Vaticani




venerdì 22 aprile 2011

IDEE E DEI

Guido Cagnacci, Allegoria della Vita Umana, Ferrara, Fondazione Cavallini-Sgarbi.
Olio su tela cm 86,5x110 -
XVII secolo.

Chi riposa
cresce in una nuova cosa.
Chi si muove 
muore.



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Il Movimento è il segreto della vita.





giovedì 7 aprile 2011


1 - Le cose vanno male
e per spiegarlo bastano
tre punti
...


2 - Le cose vanno bene
e per dirlo
serve una sola parola
Post
 

3 - Chi la sa più lunga
lasci pure 
un commento qui
?







sabato 2 aprile 2011

(DE) PROPAGANDA (FIDEL)

Heaven's Gate by Roy Ragsdill


Epulone banchetta nella crapula sfrenata
durante l’embargo.

        Dalla giuba il madore, leggero,
        miracoloso coagula sulla fronte...         

        mentre Giuda,
        sdraiato nell’orto degli ulivi,
        sgranocchia pop-corn.


Zaffate dallo stazzo principesco.
Erode promette scoregge per tutti
nella madia piena di farina
vicino al juke-box all’idrogeno.

Genuflesso sulla panca
vede la croce stagliarsi intorno,
alta, imponente in una nube bianca.
In ponente orge organizzate
sfrenati baccanali, beoti danzanti,
marines democratici,
cori bizantini,
farisei nell’atto di defecare.
Papale, papale.

        Il futuro pontefice si gratta il membro
        proprio male...e inizia
        la parabola profetica dell’epopto.
        Gli scriba de-scrivono epiteti esornativi
        per l’epitaffio «S.S.».

Il despota flagella il dapifero nel conclave,
il cardinale dassezzo fuma il suo sigaro,
nella sovrana dalmatica (che vezzo)
e trinca vino dopo la p(a)ostura.

        I chiodi non servono più,
        la disputa nella cripta della Sacra Sindone
        si appella al Cristo al Carbonio-14
        nella distinzione delle date
        per l’inutile lenzuolo di lino.


La religione è stanca,
il crocchio conversa sugli embrioni
e sull’eutanasia malsana.
La fumata bianca,
vaporosa, calma, sale...
diventa Avana.


Subito applausi
al nuovo sovrintendente della Chiesa.
Qualcuno chiese
chi era il nuovo vescovo di Dio
e andò per esclusione.

        Il porporato si riempirà ancora di più d’oro.
        Si danzano madrigali nell’esedra.
        Il turibolo è spento, la tiara abdica, la mitra
       (...) pausa riflessiva (...) mitraglierà, lo spero!

 




domenica 20 marzo 2011

VITA NOVA

TRIA SUNT MIRABILIA DEUS ET HOMO MATER ET VIRGO TRINUS ET UNUS.

Luna di Marzo
Occulta, di Venerdì nascente.
Ignara mi hai portato la Morte
Rigenera... in me morEnte!
Tre volte sarò in grado
Iniziando ad EsSeRe cosciente.
Verso l’accrescimento (42) che ho in Mente.



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Lapidem Occultum Invenies Rectificando Terrae Interiora Visita.




°               °               °
°    ° ------ °    ° ------ °    °

O voi che avete l'intelletti sani 
mirate la dottrina che s'asconde 
sotto il velame delli versi strani.

Dante Alighieri, La Divina Commedia Inferno Canto IX - vv. 61/63 




giovedì 17 marzo 2011

Non siete Stato voi

Grazie Pertini, oggi con questa tua mi sento un po' più italiano.


Non siete Stato voi che parlate di libertà
come si parla di una notte brava dentro i lupanari.
Non siete Stato voi che trascinate la nazione
dentro il buio ma vi divertite a fare i luminari.
Non siete Stato voi che siete uomini di polso
forse perchè circondati da una manica di idioti.
Non siete Stato voi che sventolate il tricolore
come in curva e tanto basta per sentirvi patrioti.
Non siete Stato voi né il vostro parlamento di idolatri
pronti a tutto per ricevere un'udienza.
Non siete Stato voi che comprate voti con la propaganda
ma non ne pagate mai la conseguenza.
Non siete Stato voi che stringete tra le dita
il rosario dei sondaggi sperando che vi rinfranchi.
Non siete Stato voi che risolvete il dramma dei disoccupati
andando nei salotti a fare i saltimbanchi.
Non siete Stato voi. 
Non siete Stato voi.


Non siete Stato voi, uomini boia con la divisa
che ammazzate di percosse i detenuti.
Non siete Stato voi con gli anfibi sulle facce disarmate
prese a calci come sacchi di rifiuti.
Non siete Stato voi che mandate i vostri figli al fronte
come una carogna da una iena che la spolpa.
Non siete Stato voi che rimboccate le bandiere sulle bare
per addormentare ogni senso di colpa.
Non siete Stato voi maledetti forcaioli impreparati,
sempre in cerca di un nemico per la lotta.
Non siete Stato voi che brucereste come streghe
gli immigrati salvo venerare quello nella grotta.
Non siete Stato voi col busto del duce sugli scrittoi
e la costituzione sotto i piedi.
Non siete Stato voi che meritereste d'essere estirpati
come la malerba dalle vostre sedi.
Non siete Stato voi. 
Non siete Stato voi.




Non siete Stato voi che brindate con il sangue
di chi tenta di far luce sulle vostre vite oscure.
Non siete Stato voi che vorreste dare voce
a quotidiani di partito muti come sepolture.
Non siete Stato voi che fate leggi su misura
come un paio di mutande a seconda dei genitali.
Non siete Stato voi che trattate chi vi critica
come un randagio a cui tagliare le corde vocali.
Non siete Stato voi, servi, che avete noleggiato
costumi da sovrani con soldi immeritati,
siete voi confratelli di una loggia che poggia
sul valore dei privilegiati come voi che i mafiosi
li chiamate eroi e che il corrotto lo chiamate pio
e ciascuno di voi, implicato in ogni sorta di reato
fissa il magistrato e poi giura su Dio: "Non sono stato io".
Non sono Stato io. 
Non sono Stato io. 












domenica 6 marzo 2011

NAUFRAGIO DEI VALORI

© Franco Chirico - Naufragio dei valori (La fucilazione del 3 maggio 1808)
Matita su cartoncino, 2006 - cm 23,8x18,7


M’aggiro
tra la folta cirrosia
della mia nostalgia.
Nella mia ansia
s’adombra il desio
d’agire nella fulminazione
per ritirarmi
dalla poltiglia della noia.


Solo la voglia
di ammirarmi
nella stagnante
aria linda dell’universo
rende liberi
i miei pensieri.



© FRANCO CHIRICO - Proprietà artistica riservata - Riproduzione, anche parziale, vietata in tutti i Paesi. Cliccare sul disegno per apprezzarne i particolari.


giovedì 24 febbraio 2011

APRITI CIELO




Calmo
scendo una grandinata 
alla Gian Burrasca, corteggiando
una bruma dagli occhi del ciclone.


Rasserenato
dal suo fisico asciutto
rimango stabile; ma in un lampo,
in un momento di bora,
precipito nel turbine
delle passioni.
Il classico colpo di fulmine!


Tormentato
in un mulinello di eventi,
con un colpo maestrale,
sono tornado sui miei passi
senza perdere la calma.

È tempo che la tempesta
si infranga nel suo arcobaleno.



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Pioggia di pensieri: una precipitazione occipitale e temporale.

domenica 13 febbraio 2011

AB ORIGINE


Ancora annoto ai bibliopoli amatori
“Carme Arcadico” (desso Abbecedario).
Essi ascoltino formali allegorie
giambiche acanìne.
Ho (Ab immemorabili) aborrito
liberi aristocratici magnati,
aspidi nevrotici, avvertendo oscuri
arrìere-pensée. Amo qualche
argomento ridanciano.

Asserisco silente: “Autonomie Toccasana”,
augurando una apprezzabile vanagloria
allo zibaldone.




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Aa, Ab, Ac, Ad, Ae, Af, Ag, Ah, Ai, Al, Am, An, Ao, Ap, Aq, Ar, As, At, Au, Av, Az.

Tutte le 21 lettere legate alla prima, l'impegno da prendere è con le altre venti. Questo è solo uno spi-raglio.

lunedì 7 febbraio 2011

SCORRENDO SCORRENDO

Libreria “Shakespeare and Co” a Parigi

Come sempre l’acqua scorre,
asciuga quella sete e quell’arsura
che bagna ogni tepore;
un effluvio che corre e mi porta via
e che non so opporre
mentre approda nella tua radura.

Col tempo capirò che ogni istante
si propaga inesorabile... goccia a goccia
nella tua penombra appagante.
Brillerà il sole e la rugiada
diverrà il nostro umore e sembrerà esitante
mentre lento sfocia nel tuo divenire delta.

Con i nostri attimi così intensi
potremo navigare senza sosta
viaggiare nella gioia e nei silenzi
perdendoci nel fiume, lungo la costa...
scorrendo scorrendo
nel nostro intenso navigare.



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Pura Libridine

martedì 1 febbraio 2011

CERCHIENDO IL SOPERCHIO

René Magritte - L'Arte della Conversazione I

Sto smettendo di cercare
il cercando dismettendo
ma premetto di cerchiare
promettendo che mi stendo.


Sto cerchiando di permettere
distendendo il soverchio
ammettendo che il cerchiettere
si dismette con il cerchio.


Sto cercando di smettere
per rimettere il cerchiendo
ma se cerco di premettere
il peperchio non lo comprendo.


Sto scoprendo il compreso
del perchiendo nel semicerchio...
ora smetto, mi sono offeso
mettetemi nel soperchio. 

sabato 22 gennaio 2011

LEGGERE-LETTO + METASBAGLIO


METATEMA:
Per leggere ha letto
accendere l'abatejour.

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Fai molta attenzione a leggere ha letto! A me dà molto fastidio. Oltretutto quando sono alla frutta, per vedere meglio anche altri errori grammaticali, ogni tanto clicco qui.

Generalmente la mia scelta cade su una Musa (giuro che è colpa della buccia, è quella che mi fa scivolare), volgarmente detta banana. Pare che il potassio aiuti a prevenire i Krampi ai polpacci per chi abitualmente, come me, adora il letto

Per punizione mi sono inflitto una pena: scovare nel web una frase autoreferenziale che coinvolga una banana, eccola:

Andy Warhol adorava Magritte o le banane? (Clicca sulla foto per gustare il pezzo). Foto by -eko-



METARISVOLTO:
Scrivi per punizione perché hai
sbagliato il compito 10 volte*.


METASVOLGIMENTO:
(*) Perché hai sbagliato il compito 10 volte; Perché hai sbagliato il compito 10 volte; Perché hai sbagliato il compito 10 volte; Perché hai sbagliato il compito 10 volte, ... ...

(*) Per punizione perché hai sbagliato il compito; Per punizione perché hai sbagliato il compito; Per punizione perché hai sbagliato il compito; Per punizione perché hai sbagliato il compito, ... ...
  
(*) 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, 10 volte, ... ... 

Ma le tre soluzioni poste nel Metasvolgimento mi creano qualche dubbio sulla correttezza del compito che mi sono auto inflitto. Ecco le domande post(ume): 
«Dei tre qual è il metasvolgimento giusto?». 
«Quante volte bisognava scrivere 10 volte?». 
«Se lo sbaglio non si sa qual è, qual è la giusta punizione per un compito sbagliato?». 
«La punizione ad una punizione sbagliata chi la commina?».

Nel dubbio, mentre riascolto il pezzo dei The Velvet Underground - Sunday Morning e mi fumo una banana autoreferenziale, pensando che ogni parola è cibo per la mente (anche se mi dico spesso ke le logorroiche banane attoppano), chiudo con una domanda tipicamente romana e sulla linea da tenere:
«ma a te piace diMagritte?»



giovedì 13 gennaio 2011

domenica 2 gennaio 2011

TMESI e TMESI

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Questa mia breve ri-creazione è un omaggio all'Oplepo, nonché alle figure retoriche per evitare di finire nel far rime (fa rima e c'è) sempre allo stesso modo, o di iniziare, ancor più grave, alla stessa maniera.

1 - Tmesi
3 - Oulipo (Ouvroir de Littérature Potentielle, traducibile in italiano "Officina di letteratura potenziale")
3 - Oplepo (Opificio di Letteratura Potenziale)
4 - po- co- mo- no- ro- = Poco m'onoro (ben altri giochi di parole e ben altri autori sono nell'Olimpo letterario).

Se potessero arricchirsi i po-steri con l’ostica tmesi o con i po-scritti patafisici delle mille po-stille metriche da me compo-
ste, i pochi riconoscimenti che co-stellano le mie brevi opere più co-stipanti, non onorerebbero le co-succe iperletterarie dei magici co-strutti stilistici oplepiani. Ciò mo-stra come in fin dei conti grommo-si giochi di parole che fan da cimo-sa allo splendente arazzo/mo-saico dell’Opificio Letterario (no-stop nell’ordito), servono per cono-scere la scrittura (ri)creativa no-strana che ruota su idee ricono-sciute nell’alto Potenziale già ro-seo, giacché l’immensurabile ro-sario di autori, giammai Numero-si, ri-scriva ancor versi in futuro.