Corri, corri sempre più
lontano in ogni vita, in ogni amore,
corri, come un chicco di grano
diventa fiore,
corri, come un bruco vola via
corri, come uno sguardo penetra in me.
E io ti prendo.
Ascolta, ascolta il mio destino
che si trasforma ad ogni tramonto,
ascolta come un sorriso
si fa mattino;
ascolta come una carezza
addolcisce i miei occhioni,
ascolta, come un bacio
dona il fuoco della vita!
E io ti prendo.
Gioca, gioca dentro di me
dove il fiume scende a valle;
gioca, come il vento alza l’onda,
gioca, dove il seme si rinsalda,
gioca, per sempre in me
tra l’acqua più profonda.
... ... ...
E io ti prendo.
La circonlocuzione è scoppiata.
«Senz’ambage» grida
per ultima una voce querula
al di qua del quadro.
Qualcuno dirime la controversia scatenata.
Beata ignoranza!
Scoppia a ridere a scatafascio
appartato il sofista.
Io mi perito di dire qualcosa continuando a dipingere.
Senza indugi, poi serio
il luminare esplode
“non sono il vostro ludibrio”
in preda certamente ai sensi di colpa.
Gli indotti sbadigliano tra una pausa e l’altra.
Scopriamo l’entasis del tempio della Musa.
L’epigono cerca di salvare l’applauso
indarno rimastogli,
ed io, tra l’altro
smetterò di credere
nell’altrui eristica sine die.
Il mercato dell’arte è morto per sempre.
Permette solo ai portafogli di esprimersi.
Il Critico continua a scrivermi versi rancorosi
pieni di encomi sofisticati;
io farò tesoro di Carte Segrete
e della mia presa di coscienza: smetterò.
La celebrità dell’artista riempirà le loro noie.